UN GIORNO ALL'IMPROVVISO di Stefania Bocchetta

27.01.2021

UN GIORNO ALL'IMPROVVISO

Non aveva mai preso il tram prima di allora ma quando la tua auto si rifiuta di partire non hai altra soluzione, per fortuna la tramvia passava vicino all'ufficio e per arrivare a casa poi non restavano che 10 minuti a piedi.
La giornata era iniziata normalmente, la sua bella Volvo l'aveva condotto per il traffico della città senza problemi, l'aveva poi parcheggiata nel suo solito posto riservato di manager e lì l'aveva ritrovata alle 20.00 come sempre, peccato che questa volta una variante c'era stata: non ne aveva voluto sapere di partire! Sorpreso e contrariato aveva telefonato al suo meccanico di fiducia che si era scusato, ma aveva già chiuso l'officina, quindi che restava da fare? A parte arrabbiarsi ed imprecare contro i meccanici che hanno fatto soldi così da potersi permettere di non correre in suo aiuto, si era diretto alla fermata della tramvia.

Certo che con il suo elegante completo grigio da manager e la 24 ore faceva un bel contrasto con la zingara con la gonna lunga e poco pulita, con il manovale di ritorno da una faticosa giornata di lavoro, con la coppietta di giovani innamorati presi solo da se stessi ignari del mondo, dei ragazzi con le sacche sportive reduci dall'allenamento di calcio, con la signora anziana con il trolly della spesa. Max li guardò appena, salì sul tram e scelse di sedersi in un posto abbastanza tranquillo e solitario, per fortuna non c'era molta gente sulla vettura e quindi poteva starsene in pace per i fatti propri.

Erano appena partiti, Max osservava il traffico meno intenso a quell'ora in cui la luce del giorno sta per svanire. I passanti frettolosi percorrevano il marciapiedi interessati solo ad arrivare a casa il prima possibile, qualche persona indugiava ancora di fronte alle vetrine accese dei negozi.
Il rapido movimento del tram si interruppe al segnale rosso, Max tornò a guardare dal finestrino le auto che, sulla strada parallela, si fermavano a loro volta al semaforo.

Una piccola utilitaria si fermò di fianco alla vettura di Max, distante pochi metri, una donna giovane, carina, i lunghi capelli castani raccolti in una coda dietro la nuca, era alla guida. Gesticolava e parlava al cellulare in modo agitato, a scatti, in una conversazione evidentemente non felice, che la turbava. Si volse verso di lui per un attimo e Max poté scorgere le lacrime che le bagnavano le guance pallide, passò nervosamente la mano a tormentare una ciocca di capelli sfuggita dalla coda e poi... più nulla. Tornò il verde per entrambi e lei scappò via nel traffico cittadino.

Chi era? Perché piangeva? Era così bella! Ci penso tutta la sera e il giorno dopo, durante il lavoro e si ritrovò la sera a riprendere lo stesso tram, allo stesso orario, sperando come uno sciocco ragazzino di rivederla ma non accadde nulla. Continuò così per una settimana, un mese: stessa tramvia, allo stesso orario, ogni giorno ma della sconosciuta nemmeno l'ombra. Il volto di lei però era sempre davanti ai suoi occhi, ben impresso nella mente e gli faceva battere il cuore: da qualche parte in quella città c'era una donna che desiderava conoscere ma non sapeva come.
Poi accadde! Imprevisto ed imprevedibile.

Max guidava per una strada di periferia, tornava da un appuntamento di lavoro quando incrociò un auto ferma a lato della strada, il cofano aperto e lei in piedi davanti alla vettura con il cellulare in mano. Accostò subito e scese quasi di corsa, incredulo che fosse proprio lei.

- Salve, ha bisogno di aiuto? - e si sentì terribilmente sciocco.

- Sì grazie. Non riesco a farla partire. Si è fermata di botto e ora non da più segni di vita! - rispose lei ed a Max sembro di sentire cantare gli angeli del Cielo - ed ho pure il cellulare scarico! -

- Posso accompagnarla al paese più vicino e cerchiamo un carro-attrezzi, anche se a quest'ora non sarà facile! - le propose.

Lei lo scrutò attentamente come per decidere se potesse fidarsi o meno di quello sconosciuto, non era sua abitudine dare confidenza a degli estranei eppure, senza spiegarsi il perché, accettò.

- Bene allora andiamo, sta iniziando a piovere! -

Infatti giunsero in paese sotto una pioggia battente.

In auto c'erano state le presentazioni, lei si chiamava Giulia. Avevano parlato del più e del meno ma Max sentiva il cuore scoppiargli nel petto. Era lei! Sì era proprio lei! E era seduta lì a pochi centimetri, nella sua auto, accanto a lui! Desiderava prolungare quel momento il più a lungo possibile, anche se si erano scambiati gli indirizzi e i numeri di telefono non voleva lasciarla per timore che svanisse di nuovo.

Era tardi, il tempo pessimo e in paese gli dissero che non era il caso di andare a prendere l'auto di Giulia in quelle condizioni. C'era una locanda potevano cenare e pernottare lì.

A Max sembrò di toccare il cielo con un dito quando anche lei convenne che era la soluzione migliore.

Cenarono con calma, quasi desiderosi entrambi di continuare all'infinito a godere della reciproca compagnia ma allo stesso tempo timorosi di confessarlo all'altro. Di cosa parlarono? Nessuno dei due avrebbe saputo dirlo perché le parole non avevano alcun significato, ciò che contava era ciò che provavano e che non osavano confessare ma era nei loro occhi, nei loro gesti, dentro di loro e tutto intorno a loro ma noto solo a loro.
Eppure anche la cena ebbe fine e non restava che andare a dormire e li assalì l'ansia assurda di vedere svanire l'altro nella notte oscura.
Davanti alla camera di lei, si ritrovarono l'uno di fronte all'altra. Furono le mani a cercarsi o fu il desiderio a spingerle a farlo? Forse entrambe le cose ma le mani si trovarono e si intrecciarono e attirarono i loro corpi, le loro bocche si sfiorarono e poi le labbra si sigillarono le une sulle altre.
Ecco, adesso ne erano certi: la notte non avrebbe fatto svanire la magia!
Non si sarebbero più perduti, anzi si erano finalmente trovati!