MINO di Stefania Lucaioli

08.08.2020

MINO

Mino era il più piccolo ed anche l'ultimo nato di 7 gemellini: 5 maschietti e 2 femminucce.
Era il più debole, il più gracile, il più buono e gentile ma anche quello più deriso e maltrattato dai fratelli, proprio perché troppo buono e incapace di reagire alle loro prepotenze, per questo lo avevano soprannominato Pollicino, proprio come il piccolo protagonista della nota fiaba. Nemmeno Mino era il suo vero nome, ma il diminutivo con cui lo chiamavano tutti, genitori compresi: in realtà il suo nome era Beniamino, perché fin da subito, mamma e papà avevano iniziato a provare pena e compassione amorevoli per quel loro figlio nato scricciolino e che cresceva così poco. Ma povero Mino, che colpa aveva lui se era sempre l'ultimo ad essere servito per i pasti, perché i fratelli con prepotenza passavano avanti e a lui non restavano che le briciole! Nei giochi era sempre quello che doveva subire le penitenze, i vestiti che indossava erano quelli smessi dai fratelli, lo stesso per le scarpe sempre della misura sbagliata, i giocattoli nuovi prima se li accaparravano i fratelli e poi, quando oramai erano inservibili, passavano a lui che aveva così imparato a ripararli per poterli utilizzare ed era diventato davvero bravo in questo, ma nessuno glielo aveva mai detto. 
Sua madre era solita ricordargli che lui non assomigliava a nessuno dei suoi fratelli e che Dio lo aveva voluto così: nessuno lo avrebbe mai potuto scambiare per un altro dei gemelli, che invece si somigliavano tutti moltissimo tra loro! 
"Tu sei unico agli occhi del mondo!" gli ripeteva.
Con la scuola in qualche modo andò meglio .... o quasi! Andò meglio per i libri sempre nuovi, perché i gemelli odiavano studiare mentre lui "divorava" ogni pagina con una facilità estrema e a scuola era sempre il primo della classe, adorato dagli insegnanti che ne ammiravano l'intelligenza sveglia oltre alla buona educazione. Ma più gli adulti lo amavano più i suoi fratelli lo detestavano e gli aizzavano contro i compagni che, lo deridevano e lo sbeffeggiavano, soprattutto a causa delle sue scarse capacità sportive, ma del resto il fisico era quello che era, sicuramente non adatto allo sport!
Il piccolo Mino però soffriva molto per questa situazione terribile con fratelli e sorelle, perché lui li amava e li ammirava per la loro bellezza con la quale lui, poverino così gracile e mingherlino, non poteva di certo competere! E subiva, in silenzio, soprusi e angherie, dispetti e cattiverie tranne poi disperarsi da solo, nell'angolo più solitario della loro casa, dove nessuno poteva vederlo, udirlo e deriderlo per quelle sue lacrime di dolore sconfinato, che gli laceravano il cuore e lo riducevano in mille pezzettini infinitesimali.
Mino trovava conforto solo nella natura. Amava le piante, gli animali, stare all'aria aperta ad osservare per ore e ore quel mondo spesso misterioso. Gli animali poi erano la sua passione! Gli piacevano tutti, grandi e piccini, dall'elefante alla pulce. Le formiche poi erano la sua passione. Osservare la loro vita, il via vai laborioso, l'organizzazione perfetta erano il suo passatempo preferito. Quando scopriva un nuovo formicaio cercava sempre di proteggerlo alla vista dei fratelli, per evitare che lo distruggessero per fargli dispetto. Allora con foglie e rametti cercava di nasconderlo il più possibile ai loro occhi ma, a volte, l'operazione non riusciva ed i gemelli si abbattevano sulle piccole formiche distruggendo tutto con notevole compiacimento, lasciando il fratellino nella più nera disperazione.
Quel pomeriggio di fine estate Mino aveva deciso di trascorrerlo leggendo le avventure di Tom Sawyer, seduto all'ombra di una grossa quercia vicino a casa. Di solito i suoi fratelli a quell'ora se ne andavano a giocare a pallone da qualche amico, mentre le sorelle con le amiche ascoltavano musica e sospiravano in camera sui loro diari segreti. In realtà la lettura era solo una scusa per Mino che, invece, intendeva osservare un nuovo formicaio, scoperto il giorno precedente. Quindi abbastanza tranquillo del fatto che nei paraggi non ci fossero i suoi terribili fratelli, si era diretto con passo sicuro e spedito verso la grande quercia. Le formiche erano ovviamente già all'opera, intente in quello che poteva sembrare un caotico e frenetico via vai e che invece era il lavoro di una comunità ben organizzata e precisa.
Era così preso e affascinato dall'attenta osservazione di quel piccolo mondo operoso, che non sentì i fratelli i quali, con passo leggero e fare guardingo, erano sopraggiunti alle sue spalle. 
La partita di pallone era saltata e loro, già irritati per l'inconveniente, avevano deciso di far scontare a qualcuno la loro contrarietà e chi meglio del piccolo "Pollicino"? A volte non c'era molta soddisfazione a fare dispetti e cattiverie a lui, che non reagiva mai, ma sapevano che quando gli toccavano le amate formiche, riuscivano a farlo arrivare a piangere di disperazione e allora sì che era divertente schernirlo, chiamarlo Pollicino con tono di disprezzo, oppure "mammoletta", femminuccia insomma umiliarlo in tutti i modi possibili.
E come kamikaze tutti e 4 piombarono sul formicaio distruggendolo con la rapidità di un tornado.
Fu proprio quello il giorno in cui Mino iniziò ad essere sempre meno Pollicino! 
Tornò a casa furioso e all'ora di cena, quando tutta la famiglia si ritrovò riunita a tavola, interruppe con tono imperioso il chiasso dei fratelli ed annunciò ai genitori che, stanco delle vessazioni e delle cattiverie dei suoi gemelli, voleva andarsene in collegio. Il suo tono non ammetteva repliche, tuttavia i genitori gli fecero notare che per loro sarebbe stato un impegno economico non indifferente, con 7 figli da crescere ma Mino fu irremovibile; fratelli e sorelle potevano far a meno di qualche vestito nuovo e alla moda, lui non poteva fare a meno dell'unico organo che riteneva veramente importante per il suo futuro: il cervello!
Fu di parola! Divenne uno degli entomologi più famosi e stimati al mondo, si sposò con una collega e diedero al mondo due bambini; tutto questo mentre i fratelli e le sorelle si dedicavano ad un'attività imprenditoriale insieme, della quale Mino non volle mai sapere, né mai si interessò.
Negli anni li aveva frequentati sempre meno. Prima nelle feste comandate si ritrovavano in famiglia, più per far contenti i genitori che per convinzione ma a Mino non piacevano questi incontri, dove vedeva i genitori sempre più angustiati dai 6 gemelli che li "sfruttavano" anche economicamente ma se provava a parlare con il padre o la madre, questi minimizzavano con scuse poche credibili. 
Dopo il suo matrimonio Mino aveva continuato a frequentare per un po' i fratelli, sempre in occasione della Pasqua o del Natale ma loro non erano cambiati poi molto da quando erano bambini e quando lui si rese conto che avevano soprannominato tra di sé la sua famiglia "i Pollicini", decise che era ora di chiudere definitivamente. Tornava saltuariamente dai genitori e sempre quando era certo che non ci fossero gli altri gemelli presenti, non che fosse molto difficile evitarli anzi, visto che con il mutare in peggio della salute dei due anziani gli altri figli era gradualmente spariti, fino alla definitiva noncuranza allorché madre e padre si ritrovarono nella condizione di non poter più vivere da soli e soprattutto di aver necessità di aiuti economici.
Quando Mino si ritrovò a far visita ai genitori, dopo un periodo di sei mesi di viaggi per il mondo a causa del suo lavoro di studioso, si trovò davanti due vecchi provati nella salute ma, soprattutto nei sentimenti, per l'abbandono dei figli, in condizioni di vita assai precarie. Con la moglie presero l'unica decisione possibile e tollerabile per il loro buon cuore: misero in vendita la casa e se li portarono con sé.
Ovviamente appena realizzato il guadagno per la vendita della casa, fratelli e sorelle non persero tempo a farsi vivi, come Mino ben si aspettava: divise con loro il denaro e magicamente sparirono di nuovo.
Furono anni sereni per i due anziani genitori che poterono concludere la propria esistenza dignitosamente e circondati dall'affetto della famiglia del figlio. La mamma in punto di morte gli ricordò ciò che era solita ripetergli da piccolo "Dio ti ha voluto unico agli occhi del mondo, diverso dai tuoi fratelli ma soprattutto migliore, per fortuna!" 
Li rivide i gemelli, per un'ultima volta, il giorno del funerale della mamma, il padre se n'era già andato qualche anno prima. Erano tutti lì, con i propri famigliari, contriti ed addolorati, in lacrime per la loro mamma così buona e così dolce, che tanto si era sacrificata.
Poi, al momento di accomiatarsi, gli avevano chiesto se aveva lasciato qualcosa in eredità, anche un piccolo oggetto per loro, per ricordarla. Mino aveva risposto che no non c'era niente.
"Ma come? in tutti questi anni che ha vissuto con voi non ha messo da parte nemmeno un centesimo della pensione!?!" 
Per la prima volta videro una luce di perfidia negli occhi del loro Pollicino.
"No, denaro non ce n'è ma se volete ricordarla da morta, per quanto non l'abbiate mai fatto da viva, ecco, dividetevi questo!" e pose davanti ai fratelli tutte le confezioni di medicine avanzate, gli esami clinici, la sedia a rotelle, le confezioni di pannoloni.
"E cosa ce ne facciamo di questa.... roba?!" ribatterono con espressione torva.
"Per ricordare! Per l'esattezza ricordarvi che le persone vanno pensate ma soprattutto amate, da vive e non da morte!" e con questo non li vide mai più.