FARIDA di Stefania Bocchetta
FARIDA
Farida si svegliò agitata, non che avesse
dormito molto a dire il vero, era troppo eccitata per quel viaggio con suo
padre. Tornavano al paese di origine dei suoi genitori, sperduto in qualche
angolo sconosciuto al resto del pianeta, nel mondo arabo.
Per lei non era un ritorno a casa, era nata in
Italia ma per il padre sì e ci teneva molto a far conoscere alla figlia
maggiore la loro terra d'origine.
Farida aveva 14 anni, era la primogenita di 5 figli
e fin da piccola aveva sentito raccontare dal padre, storie meravigliose sulla
loro terra, come solo nelle fiabe pareva esistessero e presto sarebbe diventato
realtà, lo avrebbe visto con i propri occhi.
Avrebbe conosciuto i nonni, gli zii, i cugini, una
bella famiglia numerosa ed unita, così le aveva raccontato il padre e chissà
come li avrebbero accolti a braccia aperte, magari avrebbero pure organizzato
una bella festa per loro. Sì, sicuramente sarebbe stato così.
Il padre le aveva raccontato che i suoi zii erano
benestanti, avevano un albergo in città e quindi erano considerati una famiglia
agiata, i loro figli erano un buon partito e rappresentavano una fortuna per
chiunque si sarebbe unito in matrimonio con loro.
Farida sognava ad occhi aperti. Come tutte le
ragazzine della sua età, sognava notti romantiche nel deserto, sotto la luna,
con un bel Principe Azzurro ovviamente su un nero cavallo arabo ma di ragazzine
sognanti ce ne sono troppe e troppi pochi sono i Principi Azzurri per poterle
accontentare tutte, ammesso che qualcuna sia mai stata accontentata. E con questi
sogni negli occhi e nel cuore salì sull'aereo insieme a suo padre, un padre
adorato che l'aveva sempre protetta e amata e che ora l'accompagnava in quel
viaggio meraviglioso. Al ritorno a casa ne avrebbe avute di avventure da
raccontare alle amiche e alle due sorelline, sai come l'avrebbero invidiata ed
ascoltata a bocca aperta! L'unica nota stonata era stata sua madre.
Farida non capiva perché non l'aveva voluta baciare
prima di uscire di casa, anzi poco più l'aveva salutata. "Sarà addolorata
per il distacco, ma in fondo un mese passerà velocemente e quando tornerò
racconterò anche a lei quanto bella sarà stata questa avventura!"
Il volo in aereo era solo stato un impaziente conto
alla rovescia del tempo che la separava dalla mèta, il viaggio via terra fu
decisamente più faticoso e meno affascinante di quanto aveva immaginato: molta
desolazione, caldo soffocante e qualche beduino a dorso di cammello. Ma dov'era
lo splendore decantato dal padre? Glielo chiese ma lui le rispose brusco che la
bellezza stava nel fatto che erano a casa e quando lei aveva ribattuto che la
sua casa era in Italia, lui le aveva sibilato minaccioso che quella era la loro
casa non l'Italia e che doveva tacere perché alle ragazze non era permesso fare
domande.
- Devi comportarti come si comportano le brave
ragazze di qua, senza grilli per la testa, con educazione e senza fare domande
ma soprattutto non parlare se non ti viene richiesto! -
Farida era sgomenta per le parole di suo padre: mai
le aveva parlato a quel modo, con quel tono, che cosa gli stava accadendo?
Sembrava un altro uomo, uno sconosciuto. Ma no, forse era solo stanco per il
viaggio.
La notte prima di giungere alla fine di quel
viaggio dai risvolti non proprio come quelli immaginati, dormirono in una
specie di affittacamere di infimo ordine, con animaletti che non riusciva
nemmeno ad identificare tanto erano veloci ad attraversare la stanza. Andò a
letto vestita e per fortuna troppo stanca per non addormentarsi. Al risveglio
era sola. Suo padre che aveva dormito nel letto accanto al suo, si era già
alzato. Farida, facendo attenzione a dove poggiava i piedi, si alzò e si guardò
intorno alla ricerca delle valige ma non le trovò.
"Rubate! Ci hanno derubati!" pensò
angosciata; c'era solo un borsone appoggiato sul letto del genitore e una
specie di tunica nera appesa ad un chiodo.
Stava per urlare e chiamare suo padre, quando
questi entrò nella stanza.
- Padre, ci hanno derubati! I nostri bagagli non ci
sono più! - sentiva le lacrime salire agli occhi.
- Le mie valige sono già pronte giù, la tua è
quella e quello è l'abito che devi indossare! - le rispose lui tranquillamente.
- Cosa?! Devo indossare quel... quel ... - non
riusciva nemmeno a definirlo.
- Sì, da oggi in poi ti vestirai come è usanza che
si vestano le ragazze perbene qua da noi!-
- Ma i miei vestiti ..... -
- Quante volte ti devo ripetere che non devi
rispondere! Devi fare quello che gli uomini ti dicono di fare, punto e basta!
Dimentica i tuoi vestiti indecenti e indossa quello. Se non ti riesce ti mando
la moglie del locandiere ad aiutarti! Sbrigati, la corriera non aspetta i tuoi
comodi! -
Pianse tutte le sue lacrime nell'indossare quella
specie di vestito nero lungo e piuttosto largo e si cingeva capelli e collo con
un foulard anch'esso nero, ripensando ai pantaloni, le camicette, i vestiti
color pastello, i jeans che di solito indossava: perduti insieme alle valige!
Come poteva tornare a casa, in Italia con quella roba addosso? Ma forse nel
borsone sul letto.... Corse ad aprirlo ma dentro c'erano solo brutti vestiti
neri e lunghi. In preda allo sconforto e alla disperazione prese l'unica
valigia e il suo orrendo contenuto e raggiunse suo padre che non la degnò
nemmeno di uno sguardo, ma si limitò a spingerla a salire sulla corriera per
l'ultimo tratto di quel viaggio sempre più allucinante.
Il famoso albergo degli zii in realtà non era
niente altro che una bettola piena di polvere, di insetti, con mobili mediocri,
letti scomodi e servizi igienici appena accettabili.
Farida era più che sgomenta, meglio dire sconvolta.
E i parenti?
A riceverli c'erano solo uomini! Suo padre li
salutò calorosamente e loro fecero altrettanto con ampi sorrisi ed esclamazioni
che Farida capì ben poco. Poi gli sguardi si posarono su di lei e la
squadrarono da capo a piedi, per quanto ci fosse ben poco da vedere. Suo padre
gli disse i loro nomi, ma lei non riusciva a ricordarne nessuno; loro non
fecero alcun cenno di saluto. Erano tutti cugini e zii, era l'unica cosa che
capì. L'ultimo uomo che le fu presentato era il proprietario di quella specie
di albergo, uno zio un po' alla lunga come parentela ma per le loro tradizioni
contava poco. Era evidentemente una persona molto considerata in famiglia, era
più alto e robusto degli altri sui 40 anni, folti capelli neri, la carnagione
scura; non lo si poteva definire un bell'uomo ma, visto il resto del parentado,
era sicuramente decente. Il suo nome era Majed.
Poi si ritrovò in cucina con le altre donne, alcune
erano solo bambine. Parlavano poco e spesso non le capiva nemmeno, la
guardavano con delle espressioni che non riusciva a comprendere, anche perché
come lei volgeva lo sguardo su di loro, loro distoglievano rapide il
proprio.
Per una settimana la sua vita fu circoscritta alla
camera che divideva con una delle tante cugine, la cucina dove doveva imparare
a fare tutti i lavori e qualche rara uscita la sera nel cortile interno, quando
tutti i clienti si erano già ritirati. I clienti lei non li vedeva mai ma
sapeva che erano commercianti di passaggio, gente che viaggiava per i più
svariati motivi ma nessun turista né occidentale né di altro tipo.
Le donne di casa restavano tutte confinate in
cucina per tutto il giorno, solo gli uomini avevano contatti con i clienti
maschi e se qualcuno di loro viaggiava con moglie e figlie, queste consumavano
i pasti o in cucina o in camera e venivano servite dalle donne anziane di
famiglia.
Per tutta la settimana non vide mai suo padre e
tutte le notti Farida inondava il suo ruvido cuscino di abbondanti lacrime di
desolazione e dolore: dov'era il paese meraviglioso decantato da suo padre? E
le notti nel deserto al chiar di luna? Il principe azzurro doveva essere
impegnato altrove oppure gli si era azzoppato il cavallo e suo padre? Dov'era
il genitore affettuoso e protettivo che aveva conosciuto per 14 anni? Lo scoprì
alla fine della settimana: non era mai esistito!
Se lo ritrovò davanti in una piccola stanza che
fungeva da salotto. Le disse con parole brusche e senza giri di parole che
stava per partire e tornare in Italia ma lei sarebbe rimasta lì, con i parenti.
Era inutile che piangesse ma anzi doveva essere felice perché quel giorno si
sarebbe maritata con Majed. Sarebbe stata è vero la seconda moglie, ma quella
più importante perché gli avrebbe dato il figlio che la prima non gli aveva
dato.
Farida era inorridita! Aveva solo 14 anni!
- La mamma non lo permetterà! - riuscì a dire. Suo
padre rise e rivelò che sua madre aveva dato il consenso.
La lasciò lì disperata, tra le mani delle donne che
l'avrebbero preparata per il rito nuziale. Nulla di particolare, solo un bel
bagno, il solito abito nero ma almeno era nuovo. Tutto lì.
L'accompagnarono nello stesso salottino dove suo
padre l'aveva condannata per tutta la vita a quella prigione. Ad un tavolo
c'erano suo padre, Majed ed altri uomini anziani; suo padre stava firmando un
documento. Majed si fece passare una busta, l'aprì e tirò fuori del denaro.
- Adesso tua figlia è mia! Spero che mi dia al più
presto tanti figli sani! - tuonò lo sposo.
- Questo è tuo marito, Farida! Da questo momento tu
gli appartieni e farai tutto ciò che lui dirà o vorrà. Lui è il tuo padrone! -
le disse suo padre, che si alzò e se ne andò. Per lei fu come se la
pugnalassero direttamente al cuore. Fu rispedita subito in cucina con le altre
donne ma poi venne la sera. Amal, la prima moglie, l'accompagnò da Majed.
Indugiò davanti alla porta della camera da letto del marito, le toccò il
braccio e i loro occhi si incontrarono e Farida capì cosa significavano gli
sguardi di quei giorni: era pietà, compassione.
Tremante di paura entrò nella stanza. Non aveva mai
visto un uomo nudo e Majed lo era. Terrorizzata e shockata, cercò di afferrare
la maniglia della porta per scappare ma lui fu più veloce. L'afferrò per le
braccia e la gettò violentemente sul letto. Farida provò a difendersi,
dibattendosi con coraggio ma lui le ammollò uno schiaffo così forte che lei
rimase intontita. Le strappò le vesti e il peso del suo corpo robusto su quello
di lei esile, la bloccò completamente. Non le restò che urlare quando lui la
violentò.
Due ore dopo, Majed russava soddisfatto e forse
sicuro di aver già sparso il suo seme nel grembo delle giovane moglie, che era
certo di aver già domato.
Farida sentiva tutto il corpo dolerle, per non
parlare delle fitte che provava nelle parti intime ma era dentro di sé, nel
profondo del cuore che sentiva una sofferenza indicibile: oramai non si
chiedeva nemmeno più perché le era accaduto tutto questo. Perché quei genitori
amorevoli che l'avevano cresciuta per 14 anni, all'improvviso si fossero
rivelati dei "mostri" e l'avevano venduta a quello sconosciuto,
violento e stupratore.
Si alzò in preda a dolori lancinanti, il suo sangue
e lo sperma di Majed secchi sulle cosce e sul pube. Nuda e sporca, così
com'era, uscì dalla camera da letto, discese silenziosa i gradini, entrò in
cucina. Nel cassetto del tavolo trovò ciò che cercava: gli affilati coltelli
con i quali tagliavano la carne. Ne prese uno, lo guardò fisso senza neanche
vederlo veramente. Uscì fuori all'aria aperta, sotto quelle stelle che aveva
sognato di ammirare con il principe azzurro. Protese la braccia nude verso di
loro e con un movimento deciso, passò la lama sui suoi esili polsi.
Crollò a terra lo sguardo rivolto alle stelle.