FARIDA di Stefania Bocchetta

05.06.2021

FARIDA

Farida si svegliò agitata, non che avesse dormito molto a dire il vero, era troppo eccitata per quel viaggio con suo padre. Tornavano al paese di origine dei suoi genitori, sperduto in qualche angolo sconosciuto al resto del pianeta, nel mondo arabo.
Per lei non era un ritorno a casa, era nata in Italia ma per il padre sì e ci teneva molto a far conoscere alla figlia maggiore la loro terra d'origine.
Farida aveva 14 anni, era la primogenita di 5 figli e fin da piccola aveva sentito raccontare dal padre, storie meravigliose sulla loro terra, come solo nelle fiabe pareva esistessero e presto sarebbe diventato realtà, lo avrebbe visto con i propri occhi.
Avrebbe conosciuto i nonni, gli zii, i cugini, una bella famiglia numerosa ed unita, così le aveva raccontato il padre e chissà come li avrebbero accolti a braccia aperte, magari avrebbero pure organizzato una bella festa per loro. Sì, sicuramente sarebbe stato così.
Il padre le aveva raccontato che i suoi zii erano benestanti, avevano un albergo in città e quindi erano considerati una famiglia agiata, i loro figli erano un buon partito e rappresentavano una fortuna per chiunque si sarebbe unito in matrimonio con loro.
Farida sognava ad occhi aperti. Come tutte le ragazzine della sua età, sognava notti romantiche nel deserto, sotto la luna, con un bel Principe Azzurro ovviamente su un nero cavallo arabo ma di ragazzine sognanti ce ne sono troppe e troppi pochi sono i Principi Azzurri per poterle accontentare tutte, ammesso che qualcuna sia mai stata accontentata. E con questi sogni negli occhi e nel cuore salì sull'aereo insieme a suo padre, un padre adorato che l'aveva sempre protetta e amata e che ora l'accompagnava in quel viaggio meraviglioso. Al ritorno a casa ne avrebbe avute di avventure da raccontare alle amiche e alle due sorelline, sai come l'avrebbero invidiata ed ascoltata a bocca aperta! L'unica nota stonata era stata sua madre.
Farida non capiva perché non l'aveva voluta baciare prima di uscire di casa, anzi poco più l'aveva salutata. "Sarà addolorata per il distacco, ma in fondo un mese passerà velocemente e quando tornerò racconterò anche a lei quanto bella sarà stata questa avventura!"
Il volo in aereo era solo stato un impaziente conto alla rovescia del tempo che la separava dalla mèta, il viaggio via terra fu decisamente più faticoso e meno affascinante di quanto aveva immaginato: molta desolazione, caldo soffocante e qualche beduino a dorso di cammello. Ma dov'era lo splendore decantato dal padre? Glielo chiese ma lui le rispose brusco che la bellezza stava nel fatto che erano a casa e quando lei aveva ribattuto che la sua casa era in Italia, lui le aveva sibilato minaccioso che quella era la loro casa non l'Italia e che doveva tacere perché alle ragazze non era permesso fare domande.
- Devi comportarti come si comportano le brave ragazze di qua, senza grilli per la testa, con educazione e senza fare domande ma soprattutto non parlare se non ti viene richiesto! -
Farida era sgomenta per le parole di suo padre: mai le aveva parlato a quel modo, con quel tono, che cosa gli stava accadendo? Sembrava un altro uomo, uno sconosciuto. Ma no, forse era solo stanco per il viaggio.
La notte prima di giungere alla fine di quel viaggio dai risvolti non proprio come quelli immaginati, dormirono in una specie di affittacamere di infimo ordine, con animaletti che non riusciva nemmeno ad identificare tanto erano veloci ad attraversare la stanza. Andò a letto vestita e per fortuna troppo stanca per non addormentarsi. Al risveglio era sola. Suo padre che aveva dormito nel letto accanto al suo, si era già alzato. Farida, facendo attenzione a dove poggiava i piedi, si alzò e si guardò intorno alla ricerca delle valige ma non le trovò.
"Rubate! Ci hanno derubati!" pensò angosciata; c'era solo un borsone appoggiato sul letto del genitore e una specie di tunica nera appesa ad un chiodo.
Stava per urlare e chiamare suo padre, quando questi entrò nella stanza.
- Padre, ci hanno derubati! I nostri bagagli non ci sono più! - sentiva le lacrime salire agli occhi.
- Le mie valige sono già pronte giù, la tua è quella e quello è l'abito che devi indossare! - le rispose lui tranquillamente.
- Cosa?! Devo indossare quel... quel ... - non riusciva nemmeno a definirlo.
- Sì, da oggi in poi ti vestirai come è usanza che si vestano le ragazze perbene qua da noi!-

- Ma i miei vestiti ..... -
- Quante volte ti devo ripetere che non devi rispondere! Devi fare quello che gli uomini ti dicono di fare, punto e basta! Dimentica i tuoi vestiti indecenti e indossa quello. Se non ti riesce ti mando la moglie del locandiere ad aiutarti! Sbrigati, la corriera non aspetta i tuoi comodi! -
Pianse tutte le sue lacrime nell'indossare quella specie di vestito nero lungo e piuttosto largo e si cingeva capelli e collo con un foulard anch'esso nero, ripensando ai pantaloni, le camicette, i vestiti color pastello, i jeans che di solito indossava: perduti insieme alle valige! Come poteva tornare a casa, in Italia con quella roba addosso? Ma forse nel borsone sul letto.... Corse ad aprirlo ma dentro c'erano solo brutti vestiti neri e lunghi. In preda allo sconforto e alla disperazione prese l'unica valigia e il suo orrendo contenuto e raggiunse suo padre che non la degnò nemmeno di uno sguardo, ma si limitò a spingerla a salire sulla corriera per l'ultimo tratto di quel viaggio sempre più allucinante.
Il famoso albergo degli zii in realtà non era niente altro che una bettola piena di polvere, di insetti, con mobili mediocri, letti scomodi e servizi igienici appena accettabili.
Farida era più che sgomenta, meglio dire sconvolta. E i parenti?
A riceverli c'erano solo uomini! Suo padre li salutò calorosamente e loro fecero altrettanto con ampi sorrisi ed esclamazioni che Farida capì ben poco. Poi gli sguardi si posarono su di lei e la squadrarono da capo a piedi, per quanto ci fosse ben poco da vedere. Suo padre gli disse i loro nomi, ma lei non riusciva a ricordarne nessuno; loro non fecero alcun cenno di saluto. Erano tutti cugini e zii, era l'unica cosa che capì. L'ultimo uomo che le fu presentato era il proprietario di quella specie di albergo, uno zio un po' alla lunga come parentela ma per le loro tradizioni contava poco. Era evidentemente una persona molto considerata in famiglia, era più alto e robusto degli altri sui 40 anni, folti capelli neri, la carnagione scura; non lo si poteva definire un bell'uomo ma, visto il resto del parentado, era sicuramente decente. Il suo nome era Majed.
Poi si ritrovò in cucina con le altre donne, alcune erano solo bambine. Parlavano poco e spesso non le capiva nemmeno, la guardavano con delle espressioni che non riusciva a comprendere, anche perché come lei volgeva lo sguardo su di loro, loro distoglievano rapide il proprio.
Per una settimana la sua vita fu circoscritta alla camera che divideva con una delle tante cugine, la cucina dove doveva imparare a fare tutti i lavori e qualche rara uscita la sera nel cortile interno, quando tutti i clienti si erano già ritirati. I clienti lei non li vedeva mai ma sapeva che erano commercianti di passaggio, gente che viaggiava per i più svariati motivi ma nessun turista né occidentale né di altro tipo.
Le donne di casa restavano tutte confinate in cucina per tutto il giorno, solo gli uomini avevano contatti con i clienti maschi e se qualcuno di loro viaggiava con moglie e figlie, queste consumavano i pasti o in cucina o in camera e venivano servite dalle donne anziane di famiglia.
Per tutta la settimana non vide mai suo padre e tutte le notti Farida inondava il suo ruvido cuscino di abbondanti lacrime di desolazione e dolore: dov'era il paese meraviglioso decantato da suo padre? E le notti nel deserto al chiar di luna? Il principe azzurro doveva essere impegnato altrove oppure gli si era azzoppato il cavallo e suo padre? Dov'era il genitore affettuoso e protettivo che aveva conosciuto per 14 anni? Lo scoprì alla fine della settimana: non era mai esistito!
Se lo ritrovò davanti in una piccola stanza che fungeva da salotto. Le disse con parole brusche e senza giri di parole che stava per partire e tornare in Italia ma lei sarebbe rimasta lì, con i parenti. Era inutile che piangesse ma anzi doveva essere felice perché quel giorno si sarebbe maritata con Majed. Sarebbe stata è vero la seconda moglie, ma quella più importante perché gli avrebbe dato il figlio che la prima non gli aveva dato.
Farida era inorridita! Aveva solo 14 anni!
- La mamma non lo permetterà! - riuscì a dire. Suo padre rise e rivelò che sua madre aveva dato il consenso.
La lasciò lì disperata, tra le mani delle donne che l'avrebbero preparata per il rito nuziale. Nulla di particolare, solo un bel bagno, il solito abito nero ma almeno era nuovo. Tutto lì.
L'accompagnarono nello stesso salottino dove suo padre l'aveva condannata per tutta la vita a quella prigione. Ad un tavolo c'erano suo padre, Majed ed altri uomini anziani; suo padre stava firmando un documento. Majed si fece passare una busta, l'aprì e tirò fuori del denaro.
- Adesso tua figlia è mia! Spero che mi dia al più presto tanti figli sani! - tuonò lo sposo.
- Questo è tuo marito, Farida! Da questo momento tu gli appartieni e farai tutto ciò che lui dirà o vorrà. Lui è il tuo padrone! - le disse suo padre, che si alzò e se ne andò. Per lei fu come se la pugnalassero direttamente al cuore. Fu rispedita subito in cucina con le altre donne ma poi venne la sera. Amal, la prima moglie, l'accompagnò da Majed. Indugiò davanti alla porta della camera da letto del marito, le toccò il braccio e i loro occhi si incontrarono e Farida capì cosa significavano gli sguardi di quei giorni: era pietà, compassione.
Tremante di paura entrò nella stanza. Non aveva mai visto un uomo nudo e Majed lo era. Terrorizzata e shockata, cercò di afferrare la maniglia della porta per scappare ma lui fu più veloce. L'afferrò per le braccia e la gettò violentemente sul letto. Farida provò a difendersi, dibattendosi con coraggio ma lui le ammollò uno schiaffo così forte che lei rimase intontita. Le strappò le vesti e il peso del suo corpo robusto su quello di lei esile, la bloccò completamente. Non le restò che urlare quando lui la violentò.
Due ore dopo, Majed russava soddisfatto e forse sicuro di aver già sparso il suo seme nel grembo delle giovane moglie, che era certo di aver già domato.
Farida sentiva tutto il corpo dolerle, per non parlare delle fitte che provava nelle parti intime ma era dentro di sé, nel profondo del cuore che sentiva una sofferenza indicibile: oramai non si chiedeva nemmeno più perché le era accaduto tutto questo. Perché quei genitori amorevoli che l'avevano cresciuta per 14 anni, all'improvviso si fossero rivelati dei "mostri" e l'avevano venduta a quello sconosciuto, violento e stupratore.
Si alzò in preda a dolori lancinanti, il suo sangue e lo sperma di Majed secchi sulle cosce e sul pube. Nuda e sporca, così com'era, uscì dalla camera da letto, discese silenziosa i gradini, entrò in cucina. Nel cassetto del tavolo trovò ciò che cercava: gli affilati coltelli con i quali tagliavano la carne. Ne prese uno, lo guardò fisso senza neanche vederlo veramente. Uscì fuori all'aria aperta, sotto quelle stelle che aveva sognato di ammirare con il principe azzurro. Protese la braccia nude verso di loro e con un movimento deciso, passò la lama sui suoi esili polsi.
Crollò a terra lo sguardo rivolto alle stelle.