ERNESTO: I° CAPITOLO di Luigi Lucaioli

30.01.2023

ERNESTO

CAPITOLO 1

Ma a me piace rispondere che sono nato a 40 anni, circa. Questa è l'età approssimativa che mi hanno dato in ospedale, dopo che un poliziotto mi ci aveva portato avendomi trovato che vagavo per una strada (non chiedetemi quale). Mi hanno rigirato come un calzino: TAC, RM, analisi ... una giornata da dimenticare. E tutti a chiamarmi Ernesto.

Io non so chi sono, figuriamoci come mi chiamo. Il nome me l'ha dato la dottoressa che mi ha fatto la TAC.

<<Dovrò dirti come muoverti, in qualche modo dovrò chiamarti. Ernesto mi piace, tu conosci "L'importanza di chiamarsi Ernesto"?>>

Me lo disse ridendo, ma quella frase mi aveva tanto incuriosito. Mi ripromisi che avrei cercato di chiedere a qualche suo collega se ne conoscesse il significato. Dunque, ora come ora, so solo che mi chiamo Ernesto, non ho un passato, né un presente ... e il futuro? Dovrò solo vivere alla giornata finché non troverò me stesso. Nel frattempo dovrò affidarmi alle mani di un'altra dottoressa.

<<Dovrò farti una visita e palparti l'addome, se non sento cose strane, ti risparmio ecografia e visita successiva>>

Detto questo cominciò a tastarmi con i polpastrelli ma, quando arrivò all'inguine, ci fu una reazione strana, anzi, meglio chiamarla erezione, non solo fisica, quella era ovvia ma anche naturale: mi attraeva l'idea della situazione, perché lei vedendo ciò, disse:<<Ah! Però ... non avrai memoria ... >> istintivamente stava per ritrarsi ma, turbata, con il dorso della mano prese ad accarezzarmi il membro che, tanta era l'eccitazione, indurendosi mi faceva male: sarà stato perché era tanto che non praticavo più quello "sport"!

A quel "Ah" della dottoressa, si era incuriosita l'infermiera che, avvicinandosi si rese conto della faccenda e anche lei volle rendersi conto personalmente della "situazione". Restai tutta la notte ricoverato in astanteria, in osservazione, per escludere eventuale commozione cerebrale e la mia camera divenne oggetto di pellegrinaggio da parte del personale medico ed infermieristico: ovviamente quello femminile. Mi accorsi di questo via vai perché non riuscivo a dormire e cercavo di capire, chiedendo a me stesso come fossi finito lì. Non ebbi molto tempo per pensare a quanto mi stava succedendo.

Con il cambio del turno della notte, un'infermiera molto più intraprendente e decisa, avendo saputo la mia storia, decise "molto professionalmente" che avevo bisogno di una doccia e di un ricambio, visto che dalla mattina che ero lì, mi erano stati tolti i vestiti e fatto indossare quella specie di camice che ti infilano prima di un'operazione. Mi portò letteralmente per mano, fino alla doccia e mi spogliò di quel poco che avevo indosso. Inutile dirvi che avvenne quanto era successo la mattina, cosa che fece sì che si spogliasse anche lei.

<<Ciao, Ernesto. Io sono Gina>>

Rimasi immobile, avevo davanti una dea, così mi sembrava. Non potevo fare paragoni, non sapevo se avessi mai visto niente di uguale o di meglio. Due seni piccoli che potei cogliere con le mani, un'aureola scura sulla pelle bianca facevano da corona a due capezzoli duri ed eretti. Un boschetto nero come la notte, un triangolo perfetto, del monte di Venere; prima che riuscissi a stringerla a me, lei si voltò.

<<Insaponami prima tu>>

Mi appoggiai alla parete per guardarla meglio: una silhouette da violoncello, due fossette all'altezza delle reni, sopra due glutei marmorei. Spinto dal desiderio la presi così, facendole schiacciare il viso sulle maioliche della parete. Lei era pronta, accogliente. Girò il viso verso di me.

<<Aspettami, non finire>>

Quella sua richiesta fece sì che rallentassi, per darle modo di raggiungermi ed arrivare insieme sulla vetta del piacere, non sentivo neanche che l'acqua scrosciava fredda, ma questo servì a placare i miei sensi. Ero talmente frastornato dagli eventi che non mi resi conto di come andavano le cose.

Avevo una cameretta tutta per me, ma era la stanza del medico di guardia che, quella notte era una donna. Ebbi un flash: il film "La città delle donne" di Federico Fellini. Ma allora qualcosa ricordavo? Sicuramente dovevo essere qualcuno che amava il cinema. Se avevo fatto questo accostamento ne sarebbero arrivati altri. Sarà stato anche piacevole quanto mi stava accadendo, quanti uomini vorrebbero trovarsi in una situazione simile? Ma io mi sentivo come sospeso su una nuvola e desideravo mettere i piedi per terra, camminare, riconoscere strade, luoghi, soprattutto in quale città mi trovavo? Era la mia? Da dove venivo? Avevo una famiglia? Dalla polizia mi dicevano che stavano facendo di tutto per rintracciare eventuali familiari ma ne avevo? Possibile che nessuno mi stesse cercando? Mi stava tornando il mal di testa, il troppo pensare, più la stanchezza fisica fecero sì che crollai in un sonno profondo. Mi risvegliai all'odore del caffè che profumava l'aria tanto da coprire quello classico di ospedale, ma allora la mia mente percepiva qualcosa. Ma soprattutto ricordava quanto era successo la sera prima! La mia mente cominciava a lavorare?

Vedendomi così assorto Gina (ricordavo anche il suo nome, quindi ero sulla buona strada?) intuì i miei pensieri

<<Cerca di stare tranquillo, non sei in pericolo di vita, si prenderanno cura di te, piano piano ti tornerà la memoria>> Mi porse il caffè e lo zuccheriera dalla quale riempii un cucchiarino <<Vedi? Stai agendo secondo le tue abitudini, ovvio che il caffè non ti piace amaro ma neanche troppo dolce>>

<<Hai detto che si prenderanno cura di me, e tu?>>

<<Ho finito il mio turno, ti devo salutare. Ti faranno altri accertamenti, poi ti manderanno in una casa-famiglia. Se potrò, verrò a trovarti>>

Mi abbracciò e baciò lasciando che un'altra infermiera mi prendesse per mano.

<<Venga, la porto a fare la TAC>>

Sentirmi dare del lei, dopo aver passato quel tempo con Gina, mi fece sentire ancora di più il distacco da lei, quelle ore passate insieme erano state così intense, ma non potei neanche soffermarmi un momento a pensare, che mi ritrovai sdraiato, chiuso in un cilindro tutto bianco. Per associazione di idee a quanto si vede nei film, sembrava la camera lanciasiluri dei sommergibili. Che strano! Ma allora qualche film lo avevo visto!Ma come facevo a pensare che fosse un film, se non ricordavo neanche come mi chiamavo. Dovevo smettere di pensare, altrimenti mi sarebbe tornato il mal di testa.

Mi fecero rivestire e mi accompagnarono nell'androne dell'uscita. Rimasi solo con l'infermiera che mi aveva accompagnato a fare la TAC. Mi sentivo a disagio, con Gina avevo instaurato un rapporto amichevole e non per il sesso, sebbene mi avesse fatto raggiungere vette che non so se già avevo conosciuto. Mi era rimasta simpatica, era spiritosa e cercava di tranquillizzarmi vedendomi agitato per quanto mi stava accadendo. Mi consolava dicendomi di stare tranquillo, che presto la memoria sarebbe tornata, che avremmo messo annunci sui quotidiani a tiratura nazionale, che ne avevano parlato i TG mostrando la mia foto. persino sui social-network. Dovetti farmi spiegare cosa fossero, perché non capivo di cosa parlasse.

Ora mi ritrovavo davanti ad una porta a vetri che non capivo perché si aprisse e chiudesse anche al passaggio delle persone che attraversano l'androne ma non dovevano uscire. Entrarono, un uomo e una donna, vestiti uguali, sembrava una divisa gialla e arancione ;ecco! Distinguevo i colori... forse era vero ciò che diceva Gina... .

Sentii solo la infermiera che diceva:<<Lo abbiamo chiamato Ernesto, Fisicamente è sano, non ha problemi, solo amnesia. Stanno facendo tutte le ricerche del caso>>.

Detto questo, salutò loro e se ne andò senza neanche salutare me. Aveva consegnato il pacco, il suo dovere era finito! Ma perché me la prendevo tanto per una che neanche conoscevo? Mi sentivo un oggetto e quella sensazione continuò durante il viaggio. I miei accompagnatori non mi rivolsero parola, neanche quando chiesi dove ci trovassimo. Entrammo da una cancellata molto alta, un viale alberato portava davanti ad una costruzione che sembrava una villa. Ci vennero incontro due donna e un uomo.